venerdì 24 aprile 2015

Vi voglio bene



Non voglio essere frainteso, non ce l'ho con chi ha successo con storie d'attualità o di becero costume dei giorni nostri. Onore al merito di chi riesce ad arricchirsi producendo così. Ma scrivere è un'altra cosa, è e resta un arricchimento d'altro tipo. E' uno stato dell'essere che non sempre collima con il presente, anzi quasi mai. Le riflessioni sul mondo, l'abitudine a farle, ci porta più spesso lontano dalle suggestioni del momento, si viaggia più alla riscoperta che alla scoperta. E non sono tempi.

Vi faccio un esempio.
Se presi dai vari ricorsi che la storia del mondo offre, scriviamo di un amore ai tempi dell'inquisizione, come metafora di un sentimento nel buio della ragione, facciamo la gioia di chi legge alla ricerca del bello, di un viaggio secolare, ma al grande pubblico, quello che ci fa fare soldi, non gliene fregherà una beata mazza.
Chi scrive ricerca emozioni sopite, profondità dell'animo, pippe corpose insomma, non bagattelle. Si potrebbe fare un parallelo con la musica classica ed un qualsiasi genere commerciale. L'inconsistenza dell'essere non è sostenibile per chi ricerca la grandezza, o anche la bassezza, del proprio limite.
Si è malati di una malattia terribile, non si è ricevuto in regalo un paio di tette entusiasmanti o un pisello sontuoso da mostrare.

mercoledì 22 aprile 2015

L'influenza



La piccola vacanza appena fatta mi ha regalato una sorta di influenza perniciosa che soltanto oggi mi sembra di aver superato. Niente febbre, nausea e mal di testa, lo stomaco protagonista. Il tutto in corrispondenza di uno dei momenti di down che sono la curva bassa del bioritmo, dai quali diventa sempre difficile affrancarsi.
Alla sofferenza della mente si aggiunge quella del corpo, il modo peggiore di ricordarsi che si è vivi, che è la cosa peggiore che ti può capitare. Eppure è la parte fondamentale per chi scrive, star male è il regalo migliore che può ricevere, è quel groviglio che si dipana su un foglio di carta per diventare qualcosa che ha senso. Questo è quanto dovrebbe essere, quanto è sempre stato, quanto potrebbe bastare come tributo a ciò che fai. Ma non è così, di questi tempi l'asticella si è alzata, di parecchio, e rischia di diventare definitivamente troppo alta.
Perché? Cosa significa? Che sto dicendo?
Mi spiego. Accedere al mondo della letteratura era già un'impresa difficile da realizzare, entrare nel suo mondo aveva bisogno di alcuni requisiti essenziali, non solo il talento, ne abbiamo già parlato. Ma era un mondo a sé, un mondo in cui si entrava per vivere un esperienza a sé da sé. Chi leggeva si aspettava di scoprire cose nuove, di conoscere ciò che non conosceva, di allargare i propri orizzonti, di uscire cioè dal proprio sé, di metterlo da parte, per esplorare altro sé. Oggi chi legge lo fa soltanto se ciò che legge gli appartiene già, se narra di sé, se risolve un problema immediato, se rimescola le sue morbosità. Deve avere una ricaduta immediata sulla sua esistenza, non ha il tempo e la voglia di leggere nient'altro. Come se fosse un malato in cerca di una cura fenomenale, perciò chi scrive deve essere il suo medico d'urgenza, e le sue urgenze diventano libri tipo 50 sfumature di grigio, qualcosa insomma che cavalchi l'attualità, un nodo del momento, una curiosità, un trend. Ecco, scrivere diventa un trend, verso il quale gli scrittori di valore normalmente non vanno. E il muro diventa davvero di gomma, la sofferenza epica. E come fai ad essere leggero se quello che hai dentro è così imponentemente pesante? Non puoi. Puoi soltanto avere il piacere di sapere immediatamente che ciò che stai scrivendo non interesserà a nessuno.
"Noi che viviamo in questo carcere, nella cui vita non esistono fatti ma dolore, dobbiamo misurare il tempo con i palpiti della sofferenza, e il ricordo dei momenti amari. Non abbiamo altro a cui pensare. La sofferenza [...] è il nostro modo d'esistere, poiché è l'unico modo a nostra disposizione per diventare consapevoli della vita; il ricordo di quanto abbiamo sofferto nel passato ci è necessario come la garanzia, la testimonianza della nostra identità." (Oscar Wilde)