mercoledì 25 marzo 2015

Self-Editing - Istruzioni per l'uso (1)


Nota numero Uno - Un po' di Storia.

Come accennavo, la prima cosa che ci viene in mente di fare quando finalmente decidiamo di provarci è di inviare il nostro lavoro ad una Casa Editrice molto conosciuta e molto importante. Scopriamo presto che i tempi di lettura, da parte loro, sono biblici, per noi. Ci siamo decisi tardi, non abbiamo tutto questo tempo, e poi, magari, è per sentirci dire che non va bene. Tutto ciò nella migliore delle ipotesi, cioè nel caso in cui lo leggano davvero il nostro manoscritto - e tralascio la forma in cui deve essergli recapitato, che non sempre è di immediata soluzione. Tentenniamo, dunque, siamo rosi dalla voglia di esplodere, ma lo scoppio è troppo ritardato, ci siamo anche un po' compromessi, intanto, qualcuno potrebbe ridere di noi. La parola fine al romanzo l'abbiamo messa, ci pare anche buono, meriterebbe attenzione. Mentre la nostra anima fa a botte con questo, non si accorge che è soltanto il frutto della sua immaginazione: in realtà, le Case Editrici sono dei giganti pieni di nulla, non scoprono talenti, salgono sulle barche dei vincitori. I tempi sono duri, perché rischiare su un progetto di uno sconosciuto, in un mercato dove i lettori sono un numero praticamente nullo? Molto meglio acquistare i diritti di un romanzo che ha già venduto bene da qualche altra parte, in America, per esempio. Ed ecco che la grande Casa Editrice smette di essere un riferimento. Se può servire, conosco chi ha pagato per pubblicare con una di loro, parecchio anche, senza ricevere alcun beneficio. Ed è soltanto una delle esperienze. Ci sono due autori italiani che hanno venduto 2.000.000 di copie dei loro libri in 60 paesi nel mondo, ma in Italia non vengono pubblicati, anzi, lo erano stati, ma non sono arrivati alla 2° edizione, nonostante avessero venduto circa 200.000 copie del loro primo libro. 200.000 copie, rispetto a quanto vendiamo noi, quante sono? A questo punto, qualcuna delle grandi decide di approfittare della nostra voglia di esserci, crea una costola dell'azienda, gli dà un marchio ed inizia a proporre la pubblicazione con contributo. Altissimi all'inizio: tipo 2.200 euro per una tiratura di 360, un po' di promozione, presentazione, dove se non portate i parenti non ci sarà nessuno, intervista su radio o tv regionali, distribuzione nelle librerie su ordine e negli store su internet. Stampano a richiesta, non fanno magazzino.
Sulle librerie ci torneremo in un'altra nota, anche lì non vi dico.
Ok, i costi che vi dicevo sono per un libro di circa 100 pagine, che in qualsiasi tipografia digitale potrebbe costare, per eccesso, circa 3 euro a copia. Perciò, diciamo 1.000 euro di stampa, promozione e altro a costo quasi zero, ma diciamo che dei 2.200 euro rimangono 600/700 euro e il business è a buon fine. Basta moltiplicare per quanti scrittori accettano in un anno per calcolare l'entità del business. Un modo per fare bilancio, ingegnoso, bieco, ma ingegnoso. Nel tempo, per una semplice legge di mercato, molte piccole Case Editrici hanno fiutato la possibilità di fare qualche soldo, il contributo è sceso via via, fino ad arrivare a 500/600 euro, con qualche copia omaggio per l'autore ed il resto su ordinazione, canale di distribuzione, librerie su ordinazione - la maggior parte delle quali non lo fa - insomma, ottimizzando i costi, l'utile potrebbe essere intorno ai 200/300 euro, meno di prima, ma pur sempre una buona cifra, sempre se moltiplicata per quanti accettano.
Si chiude così, la prima parte della storia, dove soltanto qualcuna delle tante Editrici entrate sul mercato, e oggi sono ormai migliaia, cercano ancora di fare il lavoro che si faceva un tempo: niente contributo, editing a carico, ma fatto davvero, tempi non lunghissimi di attesa, ma per pochi eletti, dipende anche dai generi che trattano. E non sempre ci azzeccano.
Alla prossima, restate con noi.

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